Ricordo come fosse ieri il mio esame di maturità alle scuole superiori. Non ero contenta, per nulla, di quello che stava per accadere: intrattenere delle persone che non se ne fregavano niente di quello che avrei detto, e che avevano solamente l’intenzione di mettere un segno su un foglio, e lavarsene finalmente le mani, senza molto impegno, contenti di aver fatto il loro lavoro e aver portato lo stipendio a casa.
Io c’ero andata non molto preparata a quegli esami. Una cosa però l’avevo progettata bene, ed era la mia tesina. Parlava delle popolazioni tribali, e dei loro problemi nello scontro con l’uomo moderno e la sua tecnologia. Le difficoltà di una civilizzazione forzata, di cui non hanno sicuramente alcun bisogno. Ricordo quelle facce annoiate, poco coinvolte, addormentate dei miei insegnanti, e quelle fintamente appassionate dei commissari esterni. Non ero pronta ad accettare critiche. Ero andata lì a parlare di ciò in cui credevo: l’equilibrio tra uomo e natura, possibile, testimoniato dalla vita di quelle popolazioni. A quel tempo avrei fatto qualsiasi cosa per proteggerle. Avrei prima studiato antropologia, avrei donato il mio lavoro, la mia futura ricerca, tutta la mia vita l’avrei destinata a loro, perché io li ammiravo, li amavo, e volevo sopravvivessero a questo mondo di fredde macchine di distruzione.
Nella mia testa, questa era una missione giusta e buona, ricca di speranza, ricca di verità, di umanità, e di futura felicità. Degli insegnanti (ancora nutrivo qualche briciolo di fiducia nelle istituzioni scolastiche), per quanto criticabile potesse essere il ruolo dell’insegnante in questa società, avrebbero capito quello che gli stavo raccontando. Avrebbero avuto un briciolo di maturità, di umanità. Erano adulti, non ragazzini. Non mi interessava il voto che mi avrebbero dato, io volevo parlare delle mie adorate popolazioni tribali, e volevo che il messaggio arrivasse: dobbiamo imparare da loro, non dobbiamo essere nemici, ma fratelli!
Non ero pronta ad accettare critiche. Non ero pronta ad ammettere che davanti a me, da cinque anni, sedevano delle persone disumane, alle quali avevo permesso di insegnarmi qualcosa.
Adesso capivo, capivo perché nella mia testa le loro parole si fissavano per così breve tempo. Perché la storia era così noiosa, perché lo studio della letteratura mi sembrava tanto falso. Perché queste persone erano false, non erano umane. Erano il risultato di questo mondo folle, che avrebbero fatto qualsiasi cosa per giustificare. Come fecero egregiamente.
“Quindi tu credi che queste popolazioni potranno avere un futuro, se noi facciamo qualcosa?”
“Non solo potranno, ma ne hanno tutto il diritto.”
“Non credo che qualcuno possa giudicare questo. Dopotutto, noi siamo il gradino successivo dell’evoluzione, siamo l’homo technologicus. E queste popolazioni non hanno i mezzi per contrastarci, sono destinate all’estinzione”.
DESTINATE…ALL’ESTINZIONE….ESTINZIONE. ……Estinzione……
Stupida. Stupida. Stupida! Hai creduto potessero capire! Hai creduto che potrai fare qualcosa, che c’è speranza per gli uomini. Che impareranno, che si uniranno, che rinunceranno al loro trono dorato, che scenderanno dal monte Olimpo, che smetteranno di essere dei tra gli uomini, per essere finalmente uomini tra gli uomini, uomini nella natura, tra gli animali, gli alberi gli insetti e i fiori!! Stupida! Hai creduto di poter cambiare il mondo e le cose, di poter salvare qualcuno, e sei qui a vivere questa vita come tutti gli altri, come questi uomini ingordi che ti siedono di fronte, bravi solo a darsi etichette, a riempirsi la bocca di parole latine, quando non sanno parlare la lingua del cuore, la lingua degli esseri viventi, la lingua dei viventi! SIETE MORTI, MORTI DENTRO.
Siete la mia rovina, e io non vi darò nessuna soddisfazione! Io, io imparerò, ma non nelle università! Io vivrò come loro, come coloro che vorrei salvare! Io sarò lì nella foresta, ad ammirare gli alberi e a proteggerli.
Sarò lì legata al tronco, a sputare contro le ruspe. Sarò nel fiume inquinato a farmi il bagno e a pescare i pesci. Lancerò pietre contro le dighe che deviano il corso dell’acqua. A costruire case di bambù, a tessere lentamente un vestito di canapa. Io sarò lì a fare meglio di voi, che non sapete pensare umano. Che non sapete rispettare l’equilibrio, che non capite cosa significa proteggere la vita, amarsi come fratelli… che non tenete a voi stessi. Voi non vincerete mai… non mi vincerete mai.
Non sarò mai come voi.
Monad