Qual’è il punto?

Il punto non è certo una virgola, ma per arrivare al punto dobbiamo comunque fare uso di molte virgole e forse, in finale, anche di tanti puntini, dato che il punto è soggettivo, variabile, vago, ostico ed irraggiungibile…

La visione di ogni cosa, intrinseca nella propria vita, passa dalla moltitudine di esperienze passate e presenti, dei significati che gli vengono dati e delle idee che si sono formate nella nostra mente nel corso della nostra vita. Se prendessimo la stessa persona a 16 anni, a 30 anni e a 50 anni, potremmo trovare in essa idee sempre più trasformate e modificate in base al differente discernimento, la diversa conoscenza e visione della vita che si ha ad ogni età. E ad ognuna di queste età darebbe pesi diversi alle cose della vita, avrebbe scopi diversi, nuove speranze e speranze disattese, obiettivi, sogni, pensieri, amori… tutto in continua mutazione.
Allora quand’è che troveremo il Punto nella nostra vita?
Se tutto è in continuo mutamento, come possiamo sapere se stiamo agendo bene o male? Se stiamo raggiungendo obiettivi che davvero vorremmo raggiungere?
Non possiamo? Ed il punto finale potrà solamente essere evidenziato dal ritorno, eterno o meno, alla terra? La fine. Ma di cosa?

Per me la vita è piena di errori, di questioni perse, di opportunità sfumate e non so se invece le cose fatte bene, ciò che ho avuto, le possibilità che ho colto siano state davvero ciò che ho scritto essere. Magari potrei ricostruire la mia vita al contrario e arrivare ad una conclusione che si avvicini di più al Punto. Ma è poi così importante? Non credo.
La cosa fondamentale è avere persone vicine dalla più tenera età che ci diano la libertà o per lo meno la possibilità di evolvere in una direzione automa, di libero pensiero e in una visione generale ampliata e fuori dalle dottrine della società e dell’educazione di Stato.

Forse non raggiungeremo mai un Punto ma potremmo almeno avvicinarci ad una vita buona, bella, felice, funzionale, che non danneggi gli altri e noi stessi, che accomuni più individui e che crei forza e coraggio in noi. Muovere i propri passi con sicurezza e consci di avere sempre qualcuno che ci abbracci e ci aiuti, invece di doverci continuamente guardare le spalle, delegare il nostro futuro a qualcuno che non si conosce, cibarsi di ciò che non sappiamo da dove provenga, parlare con sconosciuti dei nostri problemi sperando di risolverli.
E’ forse questo il Punto? O almeno un Punto. Perchè forse ce ne sono molti di punti, infiniti.

Qual’è secondo voi il Punto?

E se volessimo chiamare in causa l’accento? Perderemmo la maggior parte della nostra vita a disperarci di ogni cosa. Ah è vero, già lo stiamo facendo. Allora l’accento è dentro di noi. Magari risolviamo le cose di cui ci disperiamo così almeno qualche accento lo leviamo dalle palle.

Buon viandare.

Aku

La nostra coltura politica

Nutrirsi e crescere nella consapevolezza di percorrere la giusta strada verso l’autodeterminazione.
Coltivare ci piace, soprattutto se accresce in noi le conoscenze e la cultura più semplici del mondo, quelle relazionate alla terra e alla sua vita sociale. Con impegno e dedizione vogliamo raggiungere l’autosufficienza alimentare per evitare di acquistare cibo dalla grande distribuzione, che è la causa dell’impoverimento e l’abbandono della terra; un cibo prodotto industrialmente ricco di conservanti e prodotti chimici che possono portare a malattie spesso mortali. Noi abbiamo scelto di tornare indietro nel tempo per vivere la storia del presente e la cosa ci piace molto, abbiamo scelto di relazionarci con i nostri tempi e di decidere tutto insieme.
Spesso oltre a vivere in una società che non ci piace e non ci appartiene tendiamo anche a lamentarci, ma vivere male e lamentarsi non crediamo sia una soluzione per trovare la felicità e la sanità fisica e mentale. Siamo sicuri che abbiate capito di essere in un vortice da cui è difficile uscire, ma sappiate che qualcuno lo ha fatto ed è qui per aiutarvi a capire come fare.
Sii il cambiamento di te stesso e delle persone a cui vuoi bene.
coltivare
col·ti·và·re/
transitivo
  1. Riferito a terreni, renderli fruttiferi o produttivi con particolari cure (anche + a ).
    “c. un terreno”
  2. Praticare, seguire con particolare impegno e dedizione.
    “c. la musica”
    riflessivo
  1. Avere cura di migliorare la propria educazione e la propria cultura.
    img_20160910_124336098

Autodeterminare autoproducendo

Iniziamo indicando quali sono i motivi principali che dovrebbero spingerci e convincerci ad autoprodurre:

– Autoproducendo si riscoprono pratiche antiche e ricette tradizionali del proprio territorio;

2 – Usando materie del proprio territorio si inquina meno evitando i trasporti dell’IMPORT e si aiutano i piccoli produttori locali;

3 – Nelle vicinanze di ogni abitazione si possono trovare piante spontanee commestibili o utili a trasformazioni di ogni genere, e avere subito a disposizione qualcosa che non può essere trovato al supermercato;
4 – Si apprezza di più ciò che si mangia e si tende a riciclare ogni cosa;
5 – Si risparmia e si mangia genuino (nel caso in cui si scelgano materie prime di qualità e locali) ;
7 – Fare le cose in casa significa ridurre gli imballaggi dei cibi già pronti, precotti o confezionati e quindi limitare l’impatto sull’ambiente;
8 – L’atmosfera di amore, solidarietà e complicità che si crea nella vostra casa quando cucinate, elaborate e sperimentate è unica; e la soddisfazione è grande.

 

LA BUSSIERE KITCHEN VIEW TWOPer soddisfare alcune delle esigenze primarie non c’è nulla di meglio che autoprodursi il necessario,  cercando di non avere alcun impatto sulla natura (cibo, vestiario, utensili, etc.). Autoprodurre significa tornare a saper fare le cose con le nostre mani, riscoprendo antichi metodi di lavoro. Oltre ad essere ecologici, questi metodi, fanno anche risparmiare denaro e non utilizzano tecnologie dispendiose. Molti si chiedono come sia possibile tornare a coltivare e ad autoprodursi parte del proprio cibo, senza il tempo per farlo, dati i tempi dei lavori moderni; la risposta è ovvia, producendoci gran parte del cibo, e non solo (es. abiti, olio, medicinali, miele, energia), possiamo fare a meno di lavori full-time con cui guadagnare soldi con i quali comprare cibo spazzatura. Il guadagno è vario, va dalla salute e dalla bontà del cibo al benessere fisico e psicologico, alla soddisfazione di creare ciò di cui abbiamo bisogno con le nostre mani. Ovviamente questo discorso deve essere parallelo ad una decrescita da attuare su ogni spesa che risulti non indispensabile, quindi andrebbero valutate diverse cose tra le quali: automobile, tecnologie di ogni tipo, energie ed altro, tutti discorsi da approfondire singolarmente. Le scuse non esistono, la terra è li che aspetta tutti noi ed è fornita di tutto ciò che ci serve per vivere, quindi prima o poi dovremmo imparare a viverci correttamente se vogliamo tutelarla dalla speculazione e dall’abbandono.

Tornare alla terra non significa fare agricoltura o diventare imprenditore agricolo, significa riappropriarsi di spazi sociali ed usi legati alla cultura più semplice e primordiale proveniente dal rispetto e dall’evoluzione basati sulle stagioni naturali, sui tempi della natura rapportati alla nostra vita quotidiana. Parliamo di un mondo in cui se ti serve qualcosa lo procacci nel territorio, lo coltivi o lo crei e trasformi, non di supermarket e massificazione della produzione. Vivendo in un pianeta in cui tutto è natura, la base di relazioni tra tutto ciò che esiste si basa su scambi di messaggi ed energie dove tutto è sempre bilanciato e neutrale. La mano dell’uomo, per quanto alcuni aspetti evolutivi abbiano portato benessere, ha sempre portato uno sbilanciamento spesso anche grave su questo equilibio. Dobbiamo dunque lavorare molto su un ritorno e un rallentare, che aiuti noi ed il pianeta a tornare ad essere il fondamento della nostra vita.

Con tutto ciò non vogliamo dirci e dirvi che la natura è pacifica e dobbiamo esserlo anche noi, intendiamo dire che è assolutamente fondamentale rispettarla e plasmarla a nostro favore creando uno scambio, tra biodiversità umana e vegetale. La natura è selvaggia ed in molti casi crudele e terribile, amarla significa insegnarle a rispettarci rispettandola.

Tornare a fare uso di queste pratiche è qualcosa che ci ricollega alla natura e al mondo.

 

Alcune cose che possiamo autoprodurre in casa: il pane, i detersivi, la pasta fresca, il tofu, lo yogurt, il latte vegetale, le marmellate, tutte le conserve, le medicine e i prodotti di bellezza, il sapone, le scarpe, gli abiti, gli assobenti, i giocattoli, l’arredamento.

Aku, Viandanti Libertari

AUTOPRODUZIONI on Facebook

Costruire attraverso il conflitto

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Metodo assembleare pacifico e costruttivo che porti al consenso.

 

Per costruire una comunità in cui vi sia una distribuzione equa del potere decisionale bisogna partire dal concetto che “ogni persona ha in sè parte della verità”, che va ascoltata con rispetto e con il dovuto tempo e sostegno da parte di tutta la collettività.
Conflitti e disaccordi sono la normalità e sono necessari; indicano la volontà di esprimere le proprie idee liberamente e che si ha a cuore il progetto e lo scopo comuni.

Come è consueto tra le popolazioni indigene e tribali, si può decidere di portare maggior rispetto alle parole degli individui più anziani o esperti, ma la parola è comunque distribuita equamente tra tutti i membri. Infatti, per eliminare qualsiasi tipo di privilegio, non si deve permettere che il rango di un individuo possa legittimare ad interrompere o avere atteggiamenti prevaricatori nei confronti degli altri individui.
Pertanto il metodo si basa sulla consapevolezza di ogni individuo che il fine comune per il quale si sta discutendo può essere raggiunto solo rispettando le regole del metodo stesso.

Per ogni argomento discusso, la decisione finale non deve essere raggiunta gareggiando con gli altri, ma con la volontà di accontentare tutti attraverso la ricerca di soluzioni comuni che integrino le idee di tutti.
E’ fondamentale per la buona riuscita del metodo che tutti i partecipanti intervengano con onestà e chiarezza, rispettando tutti, senza attaccare verbalmente o accusare nessuno direttamente.

Il consenso si raggiunge quando tutti sono soddisfatti della scelta comune.

Schiavitù

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Ogni persona, senza alcuna distinzione di sesso ed età, era o è stata in cerca di lavoro salariato, quel tipo di lavoro che ci permette di avere libero accesso a beni e servizi di ogni tipo. Vendiamo il nostro tempo ed affittiamo le nostre competenze a un’industria che, nella migliore delle ipotesi, ci sfrutterà fino a quando saremo in grado di produrre, in quanto risorse umane.

Nel momento in cui il sistema subisce colpi e la sua maschera di assoluta efficienza cade, ecco che al suo interno iniziano movimenti per ristabilire il precedente (presunto) equilibrio. Questi spasmi sistematici sono palesemente volti a impedire il superamento di una società insostenibile, ecologicamente e socialmente parlando.

Puntualmente, quando la facciata di sicurezza dello status quo vacilla, il politico di turno si scaglia contro i classici nemici del cittadino e del lavoratore, a seconda della propria appartenenza politica. Il suo modo di operare rientra nell’ottica dell’ingranaggio: ogni problema si risolve con un nuovo problema. Di conseguenza, l’indignazione popolare aumenta, insieme ai profitti di aziende e multinazionali, con la benedizione di Vaticano e Stato. È in questo momento che, per tornare alla “normalità”, le fazioni politiche iniziano la loro propaganda di un modello di vita per tutti: nasci, studi, lavori se sei fortunato, altrimenti passi allo step successivo, ossia la morte. D’altra parte, il cittadino è questo che vuole, continuare a chiedere diritti sul posto di lavoro salariato, invece di abolirlo.

L’economia mondiale si basa sullo sfruttamento di risorse (limitate) e di persone che, invece, dovrebbero essere tutelate. Questa caratteristica del sistema non può portare alla realizzazione delle sue credenze di crescita perpetua. Paradossalmente, anche la dittatura cinese attualmente ha un bilancio in negativo, nonostante abbia sfruttato a proprio vantaggio la crisi del 2007 e non abbia subito l’influenza delle grandi banche americane.

Questo perfetto schema è la funzione moderna della società. Non rompere questo equilibrio significa sottostare a un paradigma che ci vuole schiavi, che si sorregge sugli schiavi stessi. La crisi di un qualsiasi sistema dovrebbe portare un cambiamento radicale. Vi chiederete: posso lasciare il lavoro salariato? Potrei sembrare incoerente, ma no; è necessario riprendere in mano le nostre vite e cercare di autoprodursi il necessario, di autorganizzarsi e di sabotare questa macchina distruttrice. Abbiamo l’obbligo di cambiare il processo in atto ancor prima di ritornare alla situazione di falso benessere economico.

Quali sono, allora, le alternative? Ripeto, l’autorganizzazione e l’autosufficienza, che dovrebbero essere il punto di riferimento di ogni individuo e comunità. Non possiamo pensare di distruggere un sistema di sfruttamento, che va avanti da migliaia di anni, in un anno od un giorno. Dobbiamo sfruttare questa ennesima crisi, per iniziare a cooperare e interrompere l’ingranaggio.

Dobbiamo iniziare a pensare come uomini liberi, autonomi e autosufficienti. Questo significa aiutare dove vediamo difficoltà, creare un’alternativa al lavoro salariato e alle autorità, qualsiasi esse siano. Significa che non useremo più il denaro? No. Significa che stiamo iniziando a ridurre l’uso di denaro e la dipendenza dal sistema? Sì. Purtroppo, siamo tutti abituati a risolvere i problemi subito, ed è su questo assunto di base che il sistema attua la sua propaganda. Risolvere subito i problemi attraverso scorciatoie quali il denaro. Vuoi una merce? La compri ora e puoi pagare subito o rateizzando.

Abbiamo l’obbligo di cambiare il sistema, che è ben radicato, quindi ci vorrà del tempo e bisogna iniziare da subito. Dobbiamo agire. Lunga la strada da percorrere, dura la lotta da sostenere.

 

Carlo Viandante

Immatura Umanita’

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Ricordo come fosse ieri il mio esame di maturità alle scuole superiori. Non ero contenta, per nulla, di quello che stava per accadere: intrattenere delle persone che non se ne fregavano niente di quello che avrei detto, e che avevano solamente l’intenzione di mettere un segno su un foglio, e lavarsene finalmente le mani, senza molto impegno, contenti di aver fatto il loro lavoro e aver portato lo stipendio a casa.

Io c’ero andata non molto preparata a quegli esami. Una cosa però l’avevo progettata bene, ed era la mia tesina. Parlava delle popolazioni tribali, e dei loro problemi nello scontro con l’uomo moderno e la sua tecnologia. Le difficoltà di una civilizzazione forzata, di cui non hanno sicuramente alcun bisogno. Ricordo quelle facce annoiate, poco coinvolte, addormentate dei miei insegnanti, e quelle fintamente appassionate dei commissari esterni. Non ero pronta ad accettare critiche. Ero andata lì a parlare di ciò in cui credevo: l’equilibrio tra uomo e natura, possibile, testimoniato dalla vita di quelle popolazioni. A quel tempo avrei fatto qualsiasi cosa per proteggerle. Avrei prima studiato antropologia, avrei donato il mio lavoro, la mia futura ricerca, tutta la mia vita l’avrei destinata a loro, perché io li ammiravo, li amavo, e volevo sopravvivessero a questo mondo di fredde macchine di distruzione.

Nella mia testa, questa era una missione giusta e buona, ricca di speranza, ricca di verità, di umanità, e di futura felicità. Degli insegnanti (ancora nutrivo qualche briciolo di fiducia nelle istituzioni scolastiche), per quanto criticabile potesse essere il ruolo dell’insegnante in questa società, avrebbero capito quello che gli stavo raccontando. Avrebbero avuto un briciolo di maturità, di umanità. Erano adulti, non ragazzini. Non mi interessava il voto che mi avrebbero dato, io volevo parlare delle mie adorate popolazioni tribali, e volevo che il messaggio arrivasse: dobbiamo imparare da loro, non dobbiamo essere nemici, ma fratelli!
Non ero pronta ad accettare critiche. Non ero pronta ad ammettere che davanti a me, da cinque anni, sedevano delle persone disumane, alle quali avevo permesso di insegnarmi qualcosa.

Adesso capivo, capivo perché nella mia testa le loro parole si fissavano per così breve tempo. Perché la storia era così noiosa, perché lo studio della letteratura mi sembrava tanto falso. Perché queste persone erano false, non erano umane. Erano il risultato di questo mondo folle, che avrebbero fatto qualsiasi cosa per giustificare. Come fecero egregiamente.

“Quindi tu credi che queste popolazioni potranno avere un futuro, se noi facciamo qualcosa?”

“Non solo potranno, ma ne hanno tutto il diritto.”

“Non credo che qualcuno possa giudicare questo. Dopotutto, noi siamo il gradino successivo dell’evoluzione, siamo l’homo technologicus. E queste popolazioni non hanno i mezzi per contrastarci, sono destinate all’estinzione”.

DESTINATE…ALL’ESTINZIONE….ESTINZIONE. ……Estinzione……

Stupida. Stupida. Stupida! Hai creduto potessero capire! Hai creduto che potrai fare qualcosa, che c’è speranza per gli uomini. Che impareranno, che si uniranno, che rinunceranno al loro trono dorato, che scenderanno dal monte Olimpo, che smetteranno di essere dei tra gli uomini, per essere finalmente uomini tra gli uomini, uomini nella natura, tra gli animali, gli alberi gli insetti e i fiori!! Stupida! Hai creduto di poter cambiare il mondo e le cose, di poter salvare qualcuno, e sei qui a vivere questa vita come tutti gli altri, come questi uomini ingordi che ti siedono di fronte, bravi solo a darsi etichette, a riempirsi la bocca di parole latine, quando non sanno parlare la lingua del cuore, la lingua degli esseri viventi, la lingua dei viventi! SIETE MORTI, MORTI DENTRO.
Siete la mia rovina, e io non vi darò nessuna soddisfazione! Io, io imparerò, ma non nelle università! Io vivrò come loro, come coloro che vorrei salvare! Io sarò lì nella foresta, ad ammirare gli alberi e a proteggerli.
Sarò lì legata al tronco, a sputare contro le ruspe. Sarò nel fiume inquinato a farmi il bagno e a pescare i pesci. Lancerò pietre contro le dighe che deviano il corso dell’acqua. A costruire case di bambù, a tessere lentamente un vestito di canapa. Io sarò lì a fare meglio di voi, che non sapete pensare umano. Che non sapete rispettare l’equilibrio, che non capite cosa significa proteggere la vita, amarsi come fratelli… che non tenete a voi stessi. Voi non vincerete mai… non mi vincerete mai.

Non sarò mai come voi.

Monad

RIPENSARE LA SOCIETA’

“Solo quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo pesce pescato, l’ultimo fiume avvelenato, vi accorgerete che non si può magiare il denaro”.

PER UNA SOCIETA’ ECOLOGICAMENTE SOCIALE
Produzione senza possesso: Ovvero come inventarsi un uomo a basso consumo, azione in equilibrio simbiotico con la vita e sviluppo senza predominio sulla natura.

Come si sa la natura non è una scena immobile. La natura è proprio la storia della differenziazione evolutiva che tende alla libertà e alla consapevolezza insite in essa. Ciò che conta è che tale tendenza può essere dimostrata, dall’esame dei fossili, dal fatto che le forme di vita esistenti derivano da quelle precedenti, dall’esperienza della stessa umanità. Inoltre, chiedersi quale sia il “posto della umanità” nella natura, significa riconoscere implicitamente che la specie umana si è evoluta come forma di vita in grado di costruirsi un posto nel mondo naturale, non semplicemente adattandosi ad esso. E questa non è un’idea partorita da una filosofia detta “Umanismo”, come vorrebbero certi “ecologi” misantropi. La specie umana col suo immenso potere di modificazione dell’ecosistema non è stata “inventata” dagli ecologi “umanisti”, che hanno deciso che la natura è stata “fatta” per servire l’umanità e i suoi bisogni. Il potere dell’umanità è emerso da ere di evoluzione e da secoli di sviluppo culturale. Il problema del “posto” che tale specie ha in seno alla natura non è più un problema di zoologia, riguardante la sistemazione tassonomica dell’umanità nel contesto di tutte le forme di vita, come era ai tempi di Darwin. Il problema “dell’origine dell’uomo” è considerato dai pensatori moderni altrettanto importante, che l’immani capacità possedute dalla nostra specie”.Per quanto la natura non umana sia precedente “dell’origine dell’uomo”, non è in grado di chiedersi quale sia il “Posto” dell’umanità, oggi, con buona pace di molti umanisti che amerebbero vedere l’umanità divenire una specie fra le tante, tutte partecipanti ad una cosidetta “democrazia della biosfera”. Per gli esseri umani chiedersi quale sia il “loro” posto nella natura significa chiedersi se il potere dell’umanità possa essere messo al servizio di una evoluzione futura o se al contrario, debba essere usato per distruggere la biosfera. Misconoscere la base sociale dei nostri problemi ecologici (per l’umanità non è un problema morale o sociale), celarla tra le maglie di mistiche interpretazioni primitivistiche e relazioni antirazionaliste, equivale letteralmente ad arretrare il pensiero ecologico (non ambientalista fine a se stesso) al livello primordiale di sentimenti da quattro soldi, usabili per i peggiori scopi reazionari – fascisti. Ma se tener presente la società è fondamentale per poter comprendere il senso dei nostri problemi ecologici, non per questo essa può essere vista come immagine statica ed autoritaria che osserviamo dai vertici di una torre accademica, dal balcone dell’attuale governo, o dalle finestre della sede di una grande multinazionale.
Anche la società proviene dalla natura, dando conto della socializzazione umana, della riproduzione quotidiana di tale processo e dello sfruttamento reale della natura e dell’uomo sull’uomo. fino ai nostri giorni.
Lo sfruttamento della natura, dell’uomo sull’uomo è una pratica antiumanista che serve ad aprire le porte esattamente a tutte le forze antisociali e antiecologiche che contrappongono la società alla natura e pretendono di ridurre il mondo naturale ad una semplice riserva di risorse.
Ben lungi la società dall’essere una scena immobile che permette agli elementi reazionari – fascisti – d’identificare la società esistente con la società come tale (allo stesso modo che oppressi ed oppressori vengono tutti riuniti in una singola specie detta Homo Sapiens e pariteticamente considerati come responsabili dell’attuale crisi ecologica), la società è invece la storia della sua evoluzione e delle molteplici forme e possibilità.
Sul piano culturale siamo il prodotto della nostra storia sociale, sul piano fisico siamo il prodotto dell’evoluzione naturale. Il mondo in cui le più semplici differenze tra fenomeni vengono ordinate gerarchicamente nella nostra mente, deriva da distinzioni socialmente ancestrali che autoritariamente risalgono ad un tempo troppo lontano, perchè possa essere ricordato. Conoscere il presente e costruire il futuro comporta una comprensione attenta e coerente del passato, un passato che ci condiziona in vario grado ed influenza profondamente le nostre idee dell’umanità e della natura. Sottolineo l’influenza che il passato esercita sul presente, prendendo in esame una delle posizioni fondamentali dell’ecologia sociale, oggi trasmessa all’attuale pensiero ambientalista ( in bilico fra l’esercizio del potere e il rifiuto del dominio sociale e naturale), che tutte le nostre idee di dominio sulla natura derivano dal dominio dell’uomo sull’uomo. Ribadisco che tale concetto, non è solo una visione storica della condizione umana, è anche una sfida alla nostra condizione contemporanea, con implicazioni di grande portata per quanto concerne la trasformazione sociale. Sul piano storico, essa afferma senza equivoci di sorta che il dominio dell’uomo sull’uomo è venuto prima di dominare la natura. Di conseguenza il dominio sulla natura “violentata” “pretende” il dominio dell’uomo sull’uomo. Non bisogna confondere l’ordine secondo cui il dominio si è presentato nel mondo e quindi l’importanza della sua eliminazione per raggiungere una società libera.
Ma per essere sicuri, bisogna eliminare entrambi i domini, poichè in caso contrario, l’esistenza di uno, menzionerà la sopravvivenza dell’altro.
Gli scritti di molti “progressisti”, oltre che di Marx, generano la convinzione che siano stati i tentativi di dominare la natura che hanno “condotto” al dominio dell’uomo sull’uomo, ma un simile “progetto” non è mai esistito negli annali di ciò che chiamiamo storia. Contestare l’uso di termini come “comportare”,”condurre”,”richiedere”, “presuppone” o “pretendere, come fa l’ecologia sociale, non è una pedanteria da Medio Evo.
Al contrario, il modo in cui tali parole vengono usate è il risultato di differenze radicali nell’interpretazione della storia e dei problemi ecologici che ci stanno di fronte. Una convenzionalità inutile è quella che il mito (fondamentalmente fascista) del dominio sulla natura “richiede”, “presuppone”,”comporta” o “pretende” il dominio dell’uomo sull’uomo (che pochi vogliono abbattere). Tale dominio implica la concezione che le diverse forme di dominio come le classi e lo stato,abbiano la loro ragione d’essere in condizioni e necessità economiche, e che la libertà possa essere ottenuta solo dopo aver realizzato “il dominio sulla natura” con la costituzione conseguente di una pseudo “società senza classi”. Il problema della gerarchia qui scompare misteriosamente, perdendosi nelle incertezze di idee confuse, oppure viene fatto rientrare in quello dell’abolizione delle classi, come se una società (naturalmente autoritaria) senza classi sia necessariamente una società senza gerarchia e senza stato.
Se accettiamo la concezione di Engels, e in un certo senso anche di Marx, dobbiamo ammettere che la gerarchia sia più o meno “inevitabile” in una società industriale, autoritaria, fascista e anche in un regime pseudo comunista. Di conseguenza l’ecologia sociale e la natura, evidenziano l’abolizione della gerarchia e dello stato, poichè la prima crea le classi e il secondo la loro appartenenza, con tutte le loro scelleratezze nefaste, sul sociale e sull’ecosistema. Grazie alla inutile convenzionalità sociale, la gerarchia vive in stati, in poteri e in classi che sono dei germi di repressione.
Nella società ecologicamente sociale è bandita anche la forma e la sua esistenza. E’ la forma che nelle società statali, autoritarie e classiste, stabilizza lo status-quo attuale ed è proprio la forma che allinea e caratterizza le differenze sociali di una classe verso l’altra, determinandone la propria ricchezza e povertà. Odiernamente, grazie allo status-quo, sia nella povertà che nella ricchezza, c’è una gerarchia da rispettare, poichè rispecchia la propria appartenenza.
Siccome l’ecologia sociale non riconosce la gerarchia e le sue forme, bandisce anche le categorie economiche, sociali e politiche che hanno permesso la crescita d’entrambi i domini.
Di conseguenza progressisti borghesi, conservatori, fascisti, Verdi, Ambientalisti, Centrosinistra (non vogliono modificare i rapporti di forza esistenti nelle società), si trovano sorprendentemente d’accordo nel ritenere che la gerarchia è indispensabile per l’esistenza stessa della vita associata (natura non umana è umanità), in quanto infrastruttura dell’organizzazione della stessa.
L’ecologia sociale contesta anche i termini come “credere”, “obbedire”, “combattere”, che ci hanno sempre insegnato e continuano a farlo ogni tipo di governanti, di militari, e quelli della sacra bottega (dal prete al papa), tutti parassiti che vivono agiatamente senza lavorare ne produrre.
Infine, dopo secoli di storia di minoranze che hanno lottato non per appropriarsi del potere, ma per cambiare la società, ingiusta perchè fondata sul potere e non sulla consapevolezza ecologicamente sociale, pretendere la realizzazione della medesima non è più un reato, perchè l’OBBEDIENZA NON E’ PIU’ UNA VIRTU’.

di Ortu Eseris

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Chiudiamo le porte dei laboratori di Ceyzéria: No al mondo macchina

Prolegomeni a una campagna contro le biotecnologie nell’ Ain

Il 5 febbraio scorso, l’Union montbéliarde de testage (Umotest) festeggiava il suo profitto annuale di 816.865 euro con uno spettacolare show tecnocratico, sostenuto dal consiglio generale dell’Ain e la città di Bourg en Bresse, alla gloria della rivoluzione industriale che essi accompagnano.
Denis Clément, presidente dell’ unione, non mancava di ricordarlo: “Le nostre ambizioni sono chiare: mettere a vostra disposizione animali più fruibili, ma nello stesso tempo preparare la mucca del futuro, quella che saprà adattarsi alla messa in opera della robotica negli allevamenti”.
Oltre all’elezione della miss chimera bovina che meglio si adatta all’ecosistema numerico automatizzato delle fattorie high-tech tanto pubblicizzate quest’anno alla fiera dell’agricoltura di Parigi, riempite di sensori, di telecamere, di robot automatici e fra poco di droni, fattorie pilotate a distanza dall’ imprenditore agricolo tramite il suo tablet numerico, il mestiere di allevatore, diventendo così nient’altro che l’analogo di volgari giochi di simulazione, l’Expo Umotest 2014 ci gratificava di tutto il suo campione di necrotecnologie di punta:
Dispositivi che permettono di determinare le variazioni genetiche più redditizie oltre a fornire dati ai computer dei laboratori che sviluppano le future tecniche della manipolazione del vivente.
Trapianto embrionale che consiste nel trasformare una mucca dal patrimonio genetico potenziato in una vera fabbrica di embrioni, innescando una super ovulazione mediante l’iniezione di un prodotto concepito a base di ghiandole endocrine di maiali, embrioni poi trapiantati in più mucche riceventi che hanno il patrimonio genetico più adatto a questa funzione. Embrioni congelati nell’azoto liquido per essere esportati sia sul territorio nazionale sia all’estero, e saggiamente elencati in una banca dati pubblicata sui famosi cataloghi da dove provengono le mucche montbéliardes che popolano i nostri campi.
Robot di mungitura dagli innumerevoli sensori capaci di identificare la fisiologia dell’animale, la sua biologia, il suo comportamento, che riconoscono le mammelle e si attivano automaticamente in presenza della mucca.
Oscura produzione di embrioni mediante tecniche dette di “sexage” dei semi: un dispositivo munito di un raggio laser permette di agire direttamente sul DNA inviando delle cariche positive o negative permettano di decidere il sesso dell’animale secondo i bisogni dell’allevatore.
Integratori alimentari usati per fermare la dissenteria delle mucche, di cui potemmo vedere gli effetti considerando i ridicoli sterchi che ci fecero concludere che non erano tali.
Avanguardismo che i giornali locali, cantori del mondo-macchina, non mancano di evocare: “Adesso il gruppo è sulla buona strada per il futuro e il progetto Umoworld 2020, svelato oggi con la componente “potenza 3” (che permette di sviluppare ulteriormente le innovazioni genetiche) sarà condotto dal suo successore [quello di Denis Clément] per aprirsi al mondo: diffondere l’esportazione dei semi e degli animali riproduttori, allargare i mercati a livello internazionale completando quelli che già esistono, come ad esempio in Algeria e in Mongolia”.
Queste innovazioni genetiche non sono altro che quelle che vengono sviluppate attualmente dai ricercatori dei tanti laboratori esistenti. Innovazioni che Umotest applica senza protezione per portare a termine la sua opera avanguardista verso la distruzione del vivente.
Il Genopole di Evry ad esempio, di cui si legge sul sito web il suo motto ‘Riuscire insieme in biotecnologie’, ha recentemente aperto un master in biologia sintetica, mentre i suoi apprendisti stregoni discutono tra due lezioni al Café du Gène su “la possibilità di avere nei nostri piatti carne proveniente da tecnologie di clonazione” oppure sul sapere “come riprogrammare gli organismi per fabbricare delle sostanze utili (medicinali, carburante, materiali)”.
Arrivati dentro a questa tecno-orgia al suo apice, non mancammo di constatare come le mucche fossero guidate dai “manzi”*: discutendo del contenuto del volantino “Chiudiamo i laboratori di Ceyzériat”, un allevatore high-tech ha pensato bene di farci capire che non usciremo dal posto senza ferite, che è naturale trattare le mucche come fabbriche visto che costituiscono il loro unico capitale, che è logico e sano che i progressi della ricerca tecnoscientifica applichino queste tecniche sull’uomo.
Il proseguimento delle applicazioni tecniche dell’ agricoltura all’ingegneria umana è infatti logica, cosi come lo sono la robotizzazione delle fattorie e lo sviluppo delle biotecnologie. L’una come le altre costituiscono i nuovi mercati aperti della rivoluzione industriale in corso, di cui gli obbiettivi ammessi sono la programmazione di un ambiente artificiale e l’adattamento degli organismi viventi ad esso. Logica che è la stessa di quella che tempo fa uccise il contadino e distrusse il paesaggio, e più recentamente ridusse le relazioni sociali ad essere soltanto uno scambio di dati nei flussi virtuali, oltre ad essere responsabile di tutti i mali del nostro tempo. Logica che per la propria crescita senza altro scopo che se stessa arriva ora a volere la fine dell’ uomo ed esalta l’ avvenimento dell’ uomo-macchina, la riduzione del mondo nel suo insieme a un programma informatico automizzato.
E’ questa la logica che UMOTEST realizza vendendo semi che non sono altro che programmi informatici che si diffondono nella natura. Ed è questa logica che bisogna combattere nella sua essenza: si tratta di una lotta contro una concezione della vita biologica e anche contro una concezione della scienza e dei bisogni che ne hanno gli individui. Tanto più che questa logica spicca il volo nell’unico settore ancora redditizio per lo stato francese, il settore agricolo, innescando una rivoluzione industriale che darà il colpo di grazia a quello che rimane delle campagne già ferite.
Lotta che occore condurre là dove effettivamente si svolge: nei laboratori di ricerca e negli allevamenti. Mettere gli scienzati e gli allevatori davanti alle loro responsabilità che palesamente non avvertono: la distruzione della vita vivente e la sua sostituzione con la vita artificiale.
Entrambi non hanno alcuna giustificazione da dare su ciò che fanno, hanno troppi interessi per questo (economici principalmente, di valorizzazione sociale poi). Gli effetti delle loro manipolazioni hanno una portata troppo ampia per che siano capaci di prendere da soli delle decisioni che riguardano l’insieme della società; sono gli individui che subiscono le nocività che devono decidere di ciò che sarà il loro mondo.
Volentino distribuito a l’ Expo Umotest 2014

L’apparenza è oramai sempre più ingannevole. Le mucche presentate qui non lo sono: questi organismi chimerici sono il risultato di più generazioni di manipolazioni genetiche contrarie ai principi scientifici dell’evoluzione degli esseri viventi, senza lasciar posto all’indeterminismo che questi principi suppongono, né alla complessità relativa all’adattamento all’ambiente, ambiente anch’esso reso artificiale da tecniche che vanno dal controllo climatico e dal piano di sviluppo del territorio agli effetti dei molteplici veleni che si diffondono quotidianamente nei nostri paesaggi.
Questi esseri inqualificabili, concettualizzati tramite programmi informatici dai quali provengono, non sono altro che una fila di algoritmi materializzati, divenuti concreti; non sono il risultato di nessun accoppiamento, né di alcuna volontà animale.
Sono il prodotto di una tecnica industriale che pretende essere scienza ma che non ne adempie alcuna condizione, a cominciare da quella secondo cui i veri esperimenti scientifici sono condotti in luoghi chiusi, i laboratori; inoltre il risultato di un esperimento scientifico non deve mai avere effetti sul mondo concreto. La vera scienza è un’ intelligenza del mondo, la sua comprensione; la pseudoscienza attuale, guidata dall’ ideologia di crescita e di produttività sfrenata, accompagna la trasformazione del mondo in un formicaio-macchina, in cui il vivente stesso si ritrova prodotto dai dispositivi tecnici e connesso agli altri elementi per l’istituzione di una matrice globale che si sostituisce al mondo.
Il vivente, nuovo oggetto di un’industria preoccupata di imporsi nella guerra dei mercati finanziari, è la materia prima di questi tecnici che popolano i laboratori di ricerca. Sotto la denominazione esplicita di biotecnologie, queste tecniche di controllo, sfruttamento, gestione, trasformazione e produzione del vivente prefigurano nell’agricoltura il loro superamento logico nell’ingegneria umana. Infatti lo scopo del movimento stesso del capitale come quello del Sistema Tecnico è di appropriarsi di tutti i campi nei quali la crescita può avanzare sempre di più nel suo delirio esponenziale.
Per dirlo in modo ancora più esplicito: le multinazionali portano avanti un progetto politico mondiale in cui lo sconvolgimento storico è analogo a quello che ha portato il medioevo fino all’epoca contemporanea. Se il vivente è il loro oggetto principale la ragione è di sopprimere ciò che limita l’accelerazione dei flussi finanziari negli arcani virtuali del mercato numerico, cioè la vita stessa cosi come si è sviluppata fino ad ora.
Dall’animale all’umano, niente deve sopravvivere a tutto questo. E su questo ancora i cataloghi non mancano di essere espliciti: scegliete oggi le caratteristiche precise necessarie alla prestazione e alla produttività della non-mucca che desiderate, la cui esistenza è ridotta a numeri assurdi in una tabella, così come sceglierete domani le caratteristiche del non-umano che crederete di mettere al mondo.
In quanto all’allevamento vero e proprio e a coloro che pretendono di essere allevatori, cosa dirne, tranne che, come i tecnici nevrotici che non capiscono niente della scienza, questi individui non capiscono niente dell’allevamento? Essi non conoscono i loro animali e non desiderano conoscerli. Mossi dall’avidità e dall’ideologia tecnica, si riducono a rapportarsi alle cose e alla gestione dei numeri e, di fatto, partecipano al degrado delle specie e al disincarnare del mondo.
Nessuna necessità li obbliga a continuare questa corsa sfrenata verso il morto vivente. Come i tecnici che li pilotano, essi sono responsabili di quello che fanno. A noi, quindi, il compito di metterli di fronte alle loro responsabilità e di fermare i loro macabri esperimenti.

Per avere maggiori informazioni sulle pratiche macabre dei laboratori e sugli sviluppi della ricerca in biotecnologie:
www.ain-genetique-service.fr Società cooperativa agricola d’inseminazione della regione Ain.
www.umotest.com Union montbéliarde de testage
www.unceia.fr La rete della genetica animale
www.genopole.fr Centro di ricerche in genetica, genomica ecc…

*In francese la parola “boeuf” (manzo) viene usata per definire una persona brutale, senza delicatezza

Traduzione dal sito: www.piecesetmaindoeuvre.com
Agosto 2014

L’autoproduzione urbana

Se decidessimo di non voler più sottostare alle leggi del mercato, se prendessimo atto che ciò che arriva sulla nostra tavola, attraverso il mercato moderno, è cibo avvelenato dalla chimica, dall’inquinamento e dai conservanti, se le persone non fossero schiave dei tempi disumani che la società, attraverso lavori sempre più esigenti, gli impone, si potrebbe produrre in casa, sul balcone, sul proprio terreno, cibo sano fatto dalle nostre mani o in alternativa sviluppare con attenzione una propria scelta alimentare e di acquisto guidata dalla ricerca di prodotti locali e genuini, senza costi aggiuntivi della filiera.
Ogni spazio, ogni vaso, ogni pezzo di terra può rinascere grazie a piccoli sforzi quotidiani, grazie anche a chi non sa da dove partire, con un poco di impegno le soddisfazioni sarebbero grandi, nel momento in cui il raccolto si troverà sulle nostre mani, il prodotto del nostro lavoro, della nostra cura.

Invitiamo tutte le persone a sperimentare e sperimentarsi nella produzione di cibo, di spezie e di quant’altro, nella ricerca dei giusti semi, puliti e naturali, nel rispetto per se stessi e la propria salute e nella salute del pianeta e delle nostre città. Ogni pianta, ogni albero, ogni creatura verde da a noi vita e dona pulizia alla nostra aria e a quella, soprattutto, dei nostri figli, piccoli ed indifesi.

La gerarchica situazione sociale attuale non sarà mai priva di piramidi di comando finchè ognuno di noi non cercherà la tolleranza nel prossimo e  pretenderà di essere migliore o superiore del prossimo.

Fuggire dal vortice del lamento quotidiano è un dovere di ogni cittadino, di ogni compagno, di ogni fratello che dentro di se sa bene qual’è la strada ma che o non riesce a percorrerla o ne ha paura.

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