Autodeterminare autoproducendo

Iniziamo indicando quali sono i motivi principali che dovrebbero spingerci e convincerci ad autoprodurre:

– Autoproducendo si riscoprono pratiche antiche e ricette tradizionali del proprio territorio;

2 – Usando materie del proprio territorio si inquina meno evitando i trasporti dell’IMPORT e si aiutano i piccoli produttori locali;

3 – Nelle vicinanze di ogni abitazione si possono trovare piante spontanee commestibili o utili a trasformazioni di ogni genere, e avere subito a disposizione qualcosa che non può essere trovato al supermercato;
4 – Si apprezza di più ciò che si mangia e si tende a riciclare ogni cosa;
5 – Si risparmia e si mangia genuino (nel caso in cui si scelgano materie prime di qualità e locali) ;
7 – Fare le cose in casa significa ridurre gli imballaggi dei cibi già pronti, precotti o confezionati e quindi limitare l’impatto sull’ambiente;
8 – L’atmosfera di amore, solidarietà e complicità che si crea nella vostra casa quando cucinate, elaborate e sperimentate è unica; e la soddisfazione è grande.

 

LA BUSSIERE KITCHEN VIEW TWOPer soddisfare alcune delle esigenze primarie non c’è nulla di meglio che autoprodursi il necessario,  cercando di non avere alcun impatto sulla natura (cibo, vestiario, utensili, etc.). Autoprodurre significa tornare a saper fare le cose con le nostre mani, riscoprendo antichi metodi di lavoro. Oltre ad essere ecologici, questi metodi, fanno anche risparmiare denaro e non utilizzano tecnologie dispendiose. Molti si chiedono come sia possibile tornare a coltivare e ad autoprodursi parte del proprio cibo, senza il tempo per farlo, dati i tempi dei lavori moderni; la risposta è ovvia, producendoci gran parte del cibo, e non solo (es. abiti, olio, medicinali, miele, energia), possiamo fare a meno di lavori full-time con cui guadagnare soldi con i quali comprare cibo spazzatura. Il guadagno è vario, va dalla salute e dalla bontà del cibo al benessere fisico e psicologico, alla soddisfazione di creare ciò di cui abbiamo bisogno con le nostre mani. Ovviamente questo discorso deve essere parallelo ad una decrescita da attuare su ogni spesa che risulti non indispensabile, quindi andrebbero valutate diverse cose tra le quali: automobile, tecnologie di ogni tipo, energie ed altro, tutti discorsi da approfondire singolarmente. Le scuse non esistono, la terra è li che aspetta tutti noi ed è fornita di tutto ciò che ci serve per vivere, quindi prima o poi dovremmo imparare a viverci correttamente se vogliamo tutelarla dalla speculazione e dall’abbandono.

Tornare alla terra non significa fare agricoltura o diventare imprenditore agricolo, significa riappropriarsi di spazi sociali ed usi legati alla cultura più semplice e primordiale proveniente dal rispetto e dall’evoluzione basati sulle stagioni naturali, sui tempi della natura rapportati alla nostra vita quotidiana. Parliamo di un mondo in cui se ti serve qualcosa lo procacci nel territorio, lo coltivi o lo crei e trasformi, non di supermarket e massificazione della produzione. Vivendo in un pianeta in cui tutto è natura, la base di relazioni tra tutto ciò che esiste si basa su scambi di messaggi ed energie dove tutto è sempre bilanciato e neutrale. La mano dell’uomo, per quanto alcuni aspetti evolutivi abbiano portato benessere, ha sempre portato uno sbilanciamento spesso anche grave su questo equilibio. Dobbiamo dunque lavorare molto su un ritorno e un rallentare, che aiuti noi ed il pianeta a tornare ad essere il fondamento della nostra vita.

Con tutto ciò non vogliamo dirci e dirvi che la natura è pacifica e dobbiamo esserlo anche noi, intendiamo dire che è assolutamente fondamentale rispettarla e plasmarla a nostro favore creando uno scambio, tra biodiversità umana e vegetale. La natura è selvaggia ed in molti casi crudele e terribile, amarla significa insegnarle a rispettarci rispettandola.

Tornare a fare uso di queste pratiche è qualcosa che ci ricollega alla natura e al mondo.

 

Alcune cose che possiamo autoprodurre in casa: il pane, i detersivi, la pasta fresca, il tofu, lo yogurt, il latte vegetale, le marmellate, tutte le conserve, le medicine e i prodotti di bellezza, il sapone, le scarpe, gli abiti, gli assobenti, i giocattoli, l’arredamento.

Aku, Viandanti Libertari

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RIPENSARE LA SOCIETA’

“Solo quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo pesce pescato, l’ultimo fiume avvelenato, vi accorgerete che non si può magiare il denaro”.

PER UNA SOCIETA’ ECOLOGICAMENTE SOCIALE
Produzione senza possesso: Ovvero come inventarsi un uomo a basso consumo, azione in equilibrio simbiotico con la vita e sviluppo senza predominio sulla natura.

Come si sa la natura non è una scena immobile. La natura è proprio la storia della differenziazione evolutiva che tende alla libertà e alla consapevolezza insite in essa. Ciò che conta è che tale tendenza può essere dimostrata, dall’esame dei fossili, dal fatto che le forme di vita esistenti derivano da quelle precedenti, dall’esperienza della stessa umanità. Inoltre, chiedersi quale sia il “posto della umanità” nella natura, significa riconoscere implicitamente che la specie umana si è evoluta come forma di vita in grado di costruirsi un posto nel mondo naturale, non semplicemente adattandosi ad esso. E questa non è un’idea partorita da una filosofia detta “Umanismo”, come vorrebbero certi “ecologi” misantropi. La specie umana col suo immenso potere di modificazione dell’ecosistema non è stata “inventata” dagli ecologi “umanisti”, che hanno deciso che la natura è stata “fatta” per servire l’umanità e i suoi bisogni. Il potere dell’umanità è emerso da ere di evoluzione e da secoli di sviluppo culturale. Il problema del “posto” che tale specie ha in seno alla natura non è più un problema di zoologia, riguardante la sistemazione tassonomica dell’umanità nel contesto di tutte le forme di vita, come era ai tempi di Darwin. Il problema “dell’origine dell’uomo” è considerato dai pensatori moderni altrettanto importante, che l’immani capacità possedute dalla nostra specie”.Per quanto la natura non umana sia precedente “dell’origine dell’uomo”, non è in grado di chiedersi quale sia il “Posto” dell’umanità, oggi, con buona pace di molti umanisti che amerebbero vedere l’umanità divenire una specie fra le tante, tutte partecipanti ad una cosidetta “democrazia della biosfera”. Per gli esseri umani chiedersi quale sia il “loro” posto nella natura significa chiedersi se il potere dell’umanità possa essere messo al servizio di una evoluzione futura o se al contrario, debba essere usato per distruggere la biosfera. Misconoscere la base sociale dei nostri problemi ecologici (per l’umanità non è un problema morale o sociale), celarla tra le maglie di mistiche interpretazioni primitivistiche e relazioni antirazionaliste, equivale letteralmente ad arretrare il pensiero ecologico (non ambientalista fine a se stesso) al livello primordiale di sentimenti da quattro soldi, usabili per i peggiori scopi reazionari – fascisti. Ma se tener presente la società è fondamentale per poter comprendere il senso dei nostri problemi ecologici, non per questo essa può essere vista come immagine statica ed autoritaria che osserviamo dai vertici di una torre accademica, dal balcone dell’attuale governo, o dalle finestre della sede di una grande multinazionale.
Anche la società proviene dalla natura, dando conto della socializzazione umana, della riproduzione quotidiana di tale processo e dello sfruttamento reale della natura e dell’uomo sull’uomo. fino ai nostri giorni.
Lo sfruttamento della natura, dell’uomo sull’uomo è una pratica antiumanista che serve ad aprire le porte esattamente a tutte le forze antisociali e antiecologiche che contrappongono la società alla natura e pretendono di ridurre il mondo naturale ad una semplice riserva di risorse.
Ben lungi la società dall’essere una scena immobile che permette agli elementi reazionari – fascisti – d’identificare la società esistente con la società come tale (allo stesso modo che oppressi ed oppressori vengono tutti riuniti in una singola specie detta Homo Sapiens e pariteticamente considerati come responsabili dell’attuale crisi ecologica), la società è invece la storia della sua evoluzione e delle molteplici forme e possibilità.
Sul piano culturale siamo il prodotto della nostra storia sociale, sul piano fisico siamo il prodotto dell’evoluzione naturale. Il mondo in cui le più semplici differenze tra fenomeni vengono ordinate gerarchicamente nella nostra mente, deriva da distinzioni socialmente ancestrali che autoritariamente risalgono ad un tempo troppo lontano, perchè possa essere ricordato. Conoscere il presente e costruire il futuro comporta una comprensione attenta e coerente del passato, un passato che ci condiziona in vario grado ed influenza profondamente le nostre idee dell’umanità e della natura. Sottolineo l’influenza che il passato esercita sul presente, prendendo in esame una delle posizioni fondamentali dell’ecologia sociale, oggi trasmessa all’attuale pensiero ambientalista ( in bilico fra l’esercizio del potere e il rifiuto del dominio sociale e naturale), che tutte le nostre idee di dominio sulla natura derivano dal dominio dell’uomo sull’uomo. Ribadisco che tale concetto, non è solo una visione storica della condizione umana, è anche una sfida alla nostra condizione contemporanea, con implicazioni di grande portata per quanto concerne la trasformazione sociale. Sul piano storico, essa afferma senza equivoci di sorta che il dominio dell’uomo sull’uomo è venuto prima di dominare la natura. Di conseguenza il dominio sulla natura “violentata” “pretende” il dominio dell’uomo sull’uomo. Non bisogna confondere l’ordine secondo cui il dominio si è presentato nel mondo e quindi l’importanza della sua eliminazione per raggiungere una società libera.
Ma per essere sicuri, bisogna eliminare entrambi i domini, poichè in caso contrario, l’esistenza di uno, menzionerà la sopravvivenza dell’altro.
Gli scritti di molti “progressisti”, oltre che di Marx, generano la convinzione che siano stati i tentativi di dominare la natura che hanno “condotto” al dominio dell’uomo sull’uomo, ma un simile “progetto” non è mai esistito negli annali di ciò che chiamiamo storia. Contestare l’uso di termini come “comportare”,”condurre”,”richiedere”, “presuppone” o “pretendere, come fa l’ecologia sociale, non è una pedanteria da Medio Evo.
Al contrario, il modo in cui tali parole vengono usate è il risultato di differenze radicali nell’interpretazione della storia e dei problemi ecologici che ci stanno di fronte. Una convenzionalità inutile è quella che il mito (fondamentalmente fascista) del dominio sulla natura “richiede”, “presuppone”,”comporta” o “pretende” il dominio dell’uomo sull’uomo (che pochi vogliono abbattere). Tale dominio implica la concezione che le diverse forme di dominio come le classi e lo stato,abbiano la loro ragione d’essere in condizioni e necessità economiche, e che la libertà possa essere ottenuta solo dopo aver realizzato “il dominio sulla natura” con la costituzione conseguente di una pseudo “società senza classi”. Il problema della gerarchia qui scompare misteriosamente, perdendosi nelle incertezze di idee confuse, oppure viene fatto rientrare in quello dell’abolizione delle classi, come se una società (naturalmente autoritaria) senza classi sia necessariamente una società senza gerarchia e senza stato.
Se accettiamo la concezione di Engels, e in un certo senso anche di Marx, dobbiamo ammettere che la gerarchia sia più o meno “inevitabile” in una società industriale, autoritaria, fascista e anche in un regime pseudo comunista. Di conseguenza l’ecologia sociale e la natura, evidenziano l’abolizione della gerarchia e dello stato, poichè la prima crea le classi e il secondo la loro appartenenza, con tutte le loro scelleratezze nefaste, sul sociale e sull’ecosistema. Grazie alla inutile convenzionalità sociale, la gerarchia vive in stati, in poteri e in classi che sono dei germi di repressione.
Nella società ecologicamente sociale è bandita anche la forma e la sua esistenza. E’ la forma che nelle società statali, autoritarie e classiste, stabilizza lo status-quo attuale ed è proprio la forma che allinea e caratterizza le differenze sociali di una classe verso l’altra, determinandone la propria ricchezza e povertà. Odiernamente, grazie allo status-quo, sia nella povertà che nella ricchezza, c’è una gerarchia da rispettare, poichè rispecchia la propria appartenenza.
Siccome l’ecologia sociale non riconosce la gerarchia e le sue forme, bandisce anche le categorie economiche, sociali e politiche che hanno permesso la crescita d’entrambi i domini.
Di conseguenza progressisti borghesi, conservatori, fascisti, Verdi, Ambientalisti, Centrosinistra (non vogliono modificare i rapporti di forza esistenti nelle società), si trovano sorprendentemente d’accordo nel ritenere che la gerarchia è indispensabile per l’esistenza stessa della vita associata (natura non umana è umanità), in quanto infrastruttura dell’organizzazione della stessa.
L’ecologia sociale contesta anche i termini come “credere”, “obbedire”, “combattere”, che ci hanno sempre insegnato e continuano a farlo ogni tipo di governanti, di militari, e quelli della sacra bottega (dal prete al papa), tutti parassiti che vivono agiatamente senza lavorare ne produrre.
Infine, dopo secoli di storia di minoranze che hanno lottato non per appropriarsi del potere, ma per cambiare la società, ingiusta perchè fondata sul potere e non sulla consapevolezza ecologicamente sociale, pretendere la realizzazione della medesima non è più un reato, perchè l’OBBEDIENZA NON E’ PIU’ UNA VIRTU’.

di Ortu Eseris

the_world_without_us

Terminata la costruzione delle antenne del MUOS di Niscemi

Il Muos di Niscemi è ultimato. O meglio: le sue tre gigantesche antenne sono pronte ma non operative; lo saranno non appena verranno completati i test e le analisi riguardo i danni che questa mastodontica installazione potrebbe causare alla popolazione, al territorio e via discorrendo. Ma cos’è questo Muos? Il Muos o Muostro, quest’ultimo affettuoso soprannome datogli dai movimenti di protesta, è l’acronimo di Mobile User Objective System ed è, come ci dice il sito nomuos.org, “un moderno sistema di telecomunicazioni satellitare della marina militare statunitense, composto da cinque satelliti geostazionari e quattro stazioni di terra, di cui una a Niscemi, dotate di tre grandi parabole del diametro di 18,4 metri e due antenne alte 149 metri”. E a cosa serve? Lo stesso sito ci dice che “sarà utilizzato per il coordinamento capillare di tutti i sistemi militari statunitensi dislocati nel globo, in particolare i droni, aerei senza pilota che saranno allocati anche a Sigonella”. L’intero processo di costruzione è stato decorato da ondate di proteste e manifestazioni da parte di chi questo Muostro non lo voleva e non lo vuole tuttora; proteste e manifestazioni accompagnate da documenti di analisi da parte di studiosi che evidenziano come un’installazione di tale portata, con i suoi campi elettromagnetici, costituisca un grande rischio per l’ambiente e gli abitanti della zona. Elemento, questo, che si va a sommare al rischio per il paese, in caso di guerra, di costituire un facile bersaglio da attaccare. Tutto questo, però, come sempre accade, viene facilmente scansato da chi, in queste operazioni, ha l’obbiettivo di trarre un profitto, sia esso economico, politico, militare ecc… Questa è una delle tante risposte date da coloro che hanno interesse a veder realizzato ed operativo questo progetto. L’Ambasciata statunitense di Roma tranquillizza tutti dicendo: “I rappresentanti del governo statunitense opereranno a stretto contatto con gli interlocutori italiani durante le fasi finali della costruzione, confermando l´impegno nei confronti del popolo siciliano a garantire che il sito non sarà pienamente operativo fino al completamento di tutti i test di sicurezza e finché non verrà installato un sistema di monitoraggio. In base ai test finora effettuati da autorità italiane e americane e ai dati relativi alle altre tre stazioni Muos già operative negli Stati Uniti e in Australia, abbiamo piena fiducia che il sistema non presenterà rischi per la salute.” Ora, effettivamente, dopo aver letto queste parole trapelanti tranquillità e calma, sono molto più sereno. Non penso più che il fattore “interesse economico” renda cieco chi vuole a tutti costi portare avanti la costruzione del MUOS, così come non lo penso degli interessi militari e politici. Fortunatamente c’è qualcuno che, mentre costruisce un impianto militare generante grossi campi elettromagnetici, ha anche un pensiero per la salute della natura e degli abitanti del posto; pensiero che non ha altro effetto che quello di posticipare di qualche mese l’entrata in funzione della struttura. Movimenti di protesta e gruppi di cittadini continuano più che mai la loro battaglia con l’obbiettivo di difendere loro stessi e il territorio. Le scuole hanno organizzato occupazioni ed autogestioni mentre sono state stabilite per i giorni 22 Febbraio e 1 marzo due proteste, la prima davanti la prefettura di Caltanissetta e la seconda davanti la base. L’opposizione radicale di chi è (direttamente o indirettamente) interessato, costituisce l’unica ancora di salvezza quando c’è da combattere il potere. Proviamo, adesso, a buttare giù qualche riflessione in merito alla questione. Anzitutto possiamo tranquillamente affermare di essere di fronte all’ennesimo caso di rapporto amoroso tra “stato” e “capitale”. Un legame, questo, che attraversa i secoli e che diventa sempre più saldo. In questo caso (come in migliaia di altri) capitale americano investito con rigoroso piegamento a novanta gradi dello stato italiano. Sia chiaro: se investimento e “piegamento” fossero provenuti dallo stesso paese o da paesi diversi da quelli in questione sarebbe stata la stessa identica cosa, lo stesso identico accordo di sopraffazione su chi non ha potere decisionale (la quasi totalità della popolazione mondiale). Altro punto molto importante è il ripresentarsi di atteggiamenti culturali e sociali tipici della “nostra epoca” (e con “nostra epoca” non intendo semplicemente il presente, ma quel periodo di tempo, oramai troppo lungo, in cui la cultura occidentale ha messo le tende su questo Universo e non accenna a volerle togliere; un’epoca che va avanti da un paio di migliaia di anni). L’antropocentrismo, divenuto fisiologico per l’essere umano, si manifesta ulteriormente in questa vicenda del MUOS in cui, senza possibilità di replica, la natura è assoggettata al volere di qualche esemplare di una tra le tante specie presenti su questo pianeta. Per di più, la bellezza di zone naturali, ormai rare in questa realtà iperindustriale, è corrotta quasi irrimediabilmente da questi giganti d’acciaio di centocinquanta metri. Ma non dobbiamo fare l’errore di ragionare su questo tema con gli occhi e la mente che ci hanno “montato”. Non pensiamo alla rovina dell’ambiente di Niscemi come qualcosa di dannoso esclusivamente per gli abitanti umani. Non tuteliamo la natura solo per trarne un vantaggio. Iniziamo a concepire la realtà naturale come entità da difendere per permetterle di continuare ad esistere in armonia con chi la abita attraverso quel meraviglioso e reciproco scambio che ne permette la riproduzione. Credo che solo una visione di questo tipo apporterà qualche cambiamento in positivo nel futuro. Ultimo punto, ma non in ordine di importanza, è il fatto che il MUOS è, a tutti gli effetti, un’arma. In una realtà in cui la violenza è la base su cui ogni cosa viene strutturata, a partire dal modo in cui vengono prese le decisioni in merito a questioni riguardanti la collettività, è necessario opporsi all’ennesimo decadimento dell’uomo verso questa violenza imperante. La militarizzazione di una zona come Niscemi è un altro punto a favore di chi con le armi ci campa, sia vendendole che utilizzandole: gli stati ed il liberismo sfrenato. Opporsi alla costruzione del MUOS è opporsi alla guerra, al militarismo e ad una strada che la nostra società ha imboccato da diverso tempo e che, tra poco, non darà più la possibilità di fare un’inversione di marcia. Chiunque volesse approfondire in merito alle analisi fatte dagli specialisti sulla questione del MUOS di Niscemi può trovare dei documenti su questo sito nell’area “Relazioni Tecniche”: http://nomuos.org/resource/documenti

 

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